Primo maggio. Questa festa che celebra il lavoro, quale lavoro celebra? Il lavoro delle macchine banali – macchine Terminator che orgogliosamente costruiamo per alleggerire le nostre fatiche e che poi sembrano rivoltarsi contro di noi allo scopo di alleggerirci il salario – o quello delle macchine non banali, che sono capaci d’improvvisazioni inimmaginabili sino all’istante stesso in cui si manifestano?
Non vorrei che, nella confusione, finissimo per celebrare il lavoro di quegli umani che si comportano come burocrazie in miniatura, a volte loro malgrado, a volte con l’ottuso puntiglio degli accademici o dei politici di professione.
Nello zaino ho trovato una poesia di Franco Arminio, me ne servo per celebrare il molto lavoro che c’è da fare, e anche per ringraziare la delicatezza della mano che l’ha riposta lì.
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Immaginate la mattina presto
l’uomo, la donna e il mulo
che vanno lenti verso la campagna
a scorticare la terra
con la zappa per piantarvi un seme.
Immaginate noi
con le famiglie nelle nostre case
gremite di beni poco rari.
Noi che senza esporci a niente
continuamente cerchiamo ripari.
_ Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi, edizioni Chiarelettere, 2017 _